Ascolto attivo: le 5 cose da non fare quando ascolti una persona

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Marzo è stato il mese dedicato alla diversity&inclusion e noi, esattamente il primo aprile, parliamo di ascolto attivo. Lo facciamo perché alla base del riconoscimento, valorizzazione e convivenza delle differenze vi è sempre l’ascolto e perché non c’è un periodo dell’anno migliore di un altro per parlare di questi temi.

L’ascolto è il primo passo di qualsiasi comunicazione che funziona e quindi di qualsiasi relazione che vuole dirsi tale. E credici quando ti diciamo che almeno un 70% delle criticità interne alla tua azienda hanno una radice relazionale.
Lo vediamo ogni giorno, all’interno delle realtà con cui lavoriamo.

L’ascolto inoltre è una competenza che, chi si occupa di HR, deve possedere nella misura in cui la pasta di cacao deve essere presente in una tavoletta 100%.
Serve per affrontare dinamiche umane e professionali sempre più complesse, dinamiche che non sempre dipendono da questioni lavorative o aziendali, ma che sul lavoro e in azienda inevitabilmente si riflettono.
Ciò detto, ogni manager e chi ricopre ruoli a cui è richiesta leadership, dovrebbe lavorare su questa fondamentale competenza, non solo chi si occupa di HR perché in fondo, ogni manager è anche un po’ HR.
Su questo è interessante l’articolo del Sole24Ore sulla leadership di cura.

Non è ancora finita: l’ascolto è alla base del cambiamento.
Quello voluto e costruito, ma anche quello imposto da qualche evento non previsto e a cui non eravamo pronti.
Anche in questo secondo cambiamento l’ascolto è utile per aiutare l’azienda a reagire con consapevolezza e lungimiranza.

In questo articolo ti parliamo di 5 errori tipici che commettiamo quando ascoltiamo qualcuno e, anche con le migliori intenzioni, ci apprestiamo a dare il nostro contributo.
Sono 5 comportamenti che mettiamo in atto quasi inconsapevolmente ma che tolgono forza e concentrazione all’ascolto.

l’ascolto è alla base del cambiamento.
Quello voluto e costruito, ma anche quello imposto da qualche evento non previsto e a cui non eravamo pronti.  foto di un team di lavoro

Di cosa parliamo quando parliamo di ascolto?

Questa puntualizzazione è necessaria, per evitare che la parola “ascolto” generi in ogni persona un significato comune ma diverso, o peggio, per evitare di parlare di un concetto socialmente condivisibile ma astratto.
E se ci conosci ormai lo sai: noi siamo per la concretezza.

Quando parliamo di ascolto parliamo di un’azione intenzionale, consapevole, multisensoriale e selettiva.

Azione: ascoltare è un’azione. Sembra banale ma così banale non è: significa fare qualcosa, non subire qualcosa. Significa generare un cambiamento.

Intenzionale: ascoltare è diverso da sentire. L’ascolto richiede un’attivazione intenzionale. Devi voler ascoltare, con attenzione ma anche con intenzione.

Consapevole ha a che fare con la tua capacità di essere lì, presente. Ed è anche collegato alla tua capacità di ascoltare te mentre ascolti l’altro. Sembra una contraddizione in termini ma l’ascolto empatico richiede di saper creare una connessione con l’altro senza perdere quella con sé.

Multisensoriale: si sente con le orecchie, che sono organi di senso, ma si ascolta anche con gli altri sensi. E non solo con i sensi. Pensa all’ascolto del linguaggio non verbale, non avviene di certo con le orecchie. Ma pensa a quando senti con la pancia che qualcosa non ti torna… anche la pancia non sente in realtà, ma è in grado di restituirti la percezione di una distonia. Inoltre, parlando di ascolto attivo ed empatico, solo ascoltando con la testa e con il cuore puoi veramente entrare in contatto empatico con l’altro.

Selettiva perché, come dice Marie Louise Denti, designer della comunicazione, siamo perennemente immersi in un flusso comunicativo (fatto peraltro di tantissimo rumore) e ascoltare un’altra persona richiede la capacità di escludere o isolare il rumore di fondo e le distrazioni.

L’ascolto in azienda

L’ascolto non ha una sua area di gioco preferita, è una funzione e una competenza che porta benefici enormi in qualsiasi ambito e settore.

Nel mondo del lavoro questo aspetto della comunicazione è salito alla ribalta perché, da un lato, si è finalmente compresa la centralità delle persone, dall’altro, si sta capendo che la comunicazione è lo “strumento” più efficace per dare e ottenere il meglio dalle persone.
Certo non è l’unico, ma è senza dubbio un fattore differenziante.

Quindi l’ascolto attivo ed empatico ha assunto un’importanza nuova e un valore più grande.
E se fino a qualche tempo fa l’ascolto in azienda era confuso con le survey e con le indagini di clima, oggi si è capito che l’ascolto attivo è qualcosa di più complesso e profondo rispetto a una raccolta di dati (attività peraltro utile e significativa).

L’ascolto di cui parliamo in questo articolo è l’ascolto tra persone: due o più persone che conversano, che si confrontano o che dialogano.
Pensiamo a un manager e al suo collaboratore, a recruiter e candidato, a due o più colleghi… è questo l’ascolto di cui andremo ad analizzare 5 errori tipici.
Niente a che fare quindi, con le analisi di mercato, non ci riferiamo allo studio di target, pubblico, segmento demografico: parliamo di conversazioni, dialoghi e scambi quotidiani, on e off line, che incidono profondamente nel capitale relazionale di un’impresa, asset intangibile e strategico di qualsiasi azienda.

le aree di gioco dell'ascolto e della comunicazione efficace. Donne che parlano in azienda

VISSI: le 5 cose da non fare quando ascolti qualcuno

VISSI è l’acronimo che indica le 5 cose da non fare quando vuoi ascoltare davvero una persona: valutare, indagare, supportare, soluzionare e interpretare.

  1. VALUTARE
    La parola valutare, in questo contesto, ha il significato di giudizio: valutare cosa è giusto e cosa no. Ma significa anche usare i nostri valori, e di conseguenza i nostri filtri, per guardare la realtà della persona che ci sta parlando. Quando valutiamo quindi perdiamo automaticamente il contatto con l’altro e ci spostiamo su di noi, su ciò che per noi è giusto o importante.
  2. INDAGARE
    Fare domande, chiedere spiegazioni, cercare ulteriori dettagli quando si sta ascoltando una persona, è controproduttivo perché interrompe chi sta parlando e può portarlo a divagare o a perdere il filo di quello che sta dicendo e, non di meno, di quello che sta provando. Indagare rischia di interrompere un flusso emotivo importante.
  3. SOSTENERE
    Ma come? Non è una cosa buona sostenere qualcuno che si sta sfogando? In realtà quando ascoltiamo dobbiamo concentrarci sull’ascolto. Questo anche perché, nella maggior parte dei casi, il supporto si esprime con frasi del tipo “forza, vedrai che passerà” oppure “non buttarti giù, è una cosa che si risolve” o ancora “tu sei forte, vedrai che supererai questo momento”. Cosa c’è di sbagliato in queste frasi di supporto? Che minimizzano il sentire altrui e spesso vengono pronunciate più a beneficio di chi le dice che di chi le riceve. Quando le pronunciamo, e capita spesso e quasi a chiunque, perdiamo di vista il bisogno di chi ci parla e non gli trasmettiamo veramente il nostro ascolto empatico.
  4. SOLUZIONARE
    Anche questa è una risposta che parte con le migliori intenzioni ma tradisce l’ascolto. Soluzionare significa, nel migliore dei casi, offrire consigli o indicazioni pratiche per permettere a chi ci parla di uscire da una certa situazione. Peccato che l’ascolto non richieda soluzioni e che, nella maggior parte dei casi, le soluzioni che offriamo, partano da noi, da ciò che aiuterebbe noi e non l’altro. Inoltre, come per il supportare, soluzionare è qualcosa che facciamo per abbassare la nostra tensione, dimenticandoci o non considerando la potenza dell’ascolto fine a sé stesso. Infine, quando ci apprestiamo a trovare una soluzione per chi ci parla, non stiamo più ascoltando.
  5. INTERPRETARE
    Questo è un errore che potrebbe generare contrasti, conflitti o, nella migliore delle ipotesi, incomprensioni. Interpretare significa colmare i vuoti attraverso ciò che ci appartiene e trarre delle conclusioni prendendo strade che sono le nostre, non quelle di chi stiamo ascoltando. In una conversazione infatti, è possibile che chi parla non ci fornisca sempre tutti gli elementi di contesto, non lo fa in modo consapevole ma lo fa, così come succede che la comunicazione possa essere frammentata o confusa. Ecco che, presi dal bisogno di dare un senso a quello che stiamo ascoltando, iniziamo ad interpretare e ad unire i punti secondo il nostro punto di vista. Ed è in questo momento che smettiamo di ascoltare.

E quindi?

Ascoltare per ascoltare, questo è il primo passo.
E imparare a distinguere l’ascolto da qualsiasi cosa (av)venga dopo: prestare tutta la tua attenzione a quel gesto, così profondo e così caldo, così umano e potente.
Solo accettando questo potrai davvero fare la differenza: accetta di “limitarti” ad ascoltare.

Ma c’è un modo per far capire all’altro che lo stiamo ascoltando in modo empatico?
O è sufficiente restare in silenzio e annuire?

Ci sono dei comportamenti associati all’ascolto attivo che non solo fanno capire che stai ascoltando chi ti parla, ma anche che ti permettono di ascoltare meglio e in modo più attivo.
Però ne parleremo nel prossimo articolo.
Nel frattempo, se il tema della comunicazione empatica ti appassiona, ti invitiamo a leggere anche l’articolo dedicato alla gestione delle comunicazioni conflittuali.

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