
Il fenomeno delle Grandi Dimissioni, iniziato lo scorso anno in America, si sta facendo sentire anche in Europa e in Italia.
La timidezza con cui si manifesta nel nostro paese non deve farci sottovalutare la questione, soprattutto se sommata alla difficoltà di molte aziende a trovare personale in diversi settori: dall’IT, alla ristorazione.
Ne parla in modo approfondito, con tanto di dati, questo articolo dell’Inkiesta. Ne abbiamo parlato anche noi in un paio di numeri di Valore Aggiunto, la newsletter a cui puoi registrarti qui, arriva ogni ultimo venerdì del mese (piccolo spazio pubblicità).
In questo articolo vogliamo riflettere sulle cause che portano così tante persone a dimettersi, spesso anche con gioia e voglia di condividerlo su LinkedIn, segnale di quanto si tratti per molti di una liberazione o di una scelta fatta in nome di un valore, o ancora, come gesto di auto-affermazione e auto-imprenditorialità.
Cerchiamo quindi di esplorare i diversi motivi che spingono le persone a dimettersi per provare a capire come la funzione HR e in generale l’azienda sia chiamata a muoversi se vuole motivare e trattenere persone di valore.
Ricerca di senso
In molti parlano di questa motivazione alla base delle Grandi Dimissioni: le persone che lasciano un posto di lavoro cercano un senso nuovo.
O forse semplicemente scoprono di volerne uno.
È possibile infatti che, complice anche la centrifuga emotiva portata dalla pandemia, in molti abbiano compreso quanto sia importante avere uno scopo e dare un senso a ciò che fanno, un significato insomma, che trovi riscontro oltre il senso del dovere.
Questa, a onor del vero, è una motivazione che spingeva le persone a cercare un cambiamento anche ben prima della pandemia, un segnale che avevamo già iniziato ad osservare e quindi da prendere in seria considerazione.
Questo bisogno è molto collegato all’autostima e alla percezione che le persone hanno di sé stesse.
Cos’è chiamata a fare l’azienda?
A lavorare sul suo purpose, sul valore unico che la caratterizza e sul suo impatto sociale.
La parola IMPATTO diventerà sempre più significativa per le aziende che vogliono fare talent attraction e talent retention. Ti suggeriamo di seguire, su questo tema, Sara Mazzocchi, Co-founder di Storyfactory, società benefit, che su LinkedIn parla spesso di Purpose e ti invitiamo a leggere questo suo post.

Opportunità
È anche una questione di opportunità: la crescente domanda, soprattutto di alcuni settori, ha fatto sì che molti cambiassero lavoro per uno stipendio più alto, per un avvicinamento a casa o per la possibilità di lavorare in modo agile.
Insomma, le aziende si stanno contendendo le persone.
Un esempio è quello della contesa di ingegneri tra Meta e Apple che puoi leggere in questo articolo del Sole24ore.
Ma non serve essere Apple per avere questi problemi, lo sanno bene la maggior parte delle aziende del settore IT (e non solo).
Come fare in questo caso?
Apple ha puntato sui soldi, riconoscendo delle azioni ai migliori ingegneri per legarli all’azienda. Scelta che non tutte le aziende possono permettersi di fare. Però qualsiasi azienda può verificare di aver messo in campo tutte le azioni possibili e opportune per far star bene le persone nella propria realtà, soddisfacendo i loro bisogni oltre il livello igienico.
Il tema della retribuzione, lo sappiamo bene, non è mai il vero motivo di disagio e di dimissioni, a meno che lo stipendio riconosciuto non sia inferiore al livello di dignità o semplicemente di mercato.
Rivalutazione delle priorità
Questa motivazione è di chi, negli ultimi due anni, ha cambiato radicalmente il proprio modo di lavorare e quindi anche il proprio approccio al lavoro: chi era abituato a viaggiare molto e improvvisamente si è trovato a lavorare da casa, ad esempio, ha rivalutato aspetti che prima erano marginali o che avevano uno spazio differente come la famiglia, il tempo libero, la cura di sé o delle proprie passioni.
Cosa fare in questi casi?
Non sempre è possibile intervenire per evitare che questi cambiamenti accadano, ma se le priorità hanno a che fare con un maggior equilibrio vita lavorativa e vita personale è su questo punto che le aziende devono lavorare per garantire maggior benessere alle proprie persone.
La scelta di modelli organizzativi agili, dove e quando possibile, è strategica e dev’essere abbinata a un accompagnamento delle persone verso nuovi modi di lavorare. Non basta offrire lo smart working come benefit, non è questo ciò che le persone stanno chiedendo e non è così che aumenteremo produttività e abbasseremo il turn over.
Rivalutazione delle proprie possibilità
Ne parla anche l’articolo citato in apertura: le persone nonostante tutto stanno vivendo una rinnovata fiducia in sé stesse e nella possibilità di ricollocarsi o di auto-imprendere.
Forse scoprono di avere un potenziale più alto di quello che avevano sempre creduto e cercano spazio per svilupparlo o dargli voce.
Sarà perché nella loro azienda questo spazio non c’é? o perché, addirittura, non viene riconosciuto?
Quanto tempo e attenzione dedichi a conoscere e sviluppare il potenziale delle tue persone, non solo a riconoscere il loro lavoro ma a scoprire e a valorizzare cos’altro possono fare?

Malessere profondo
In questo post Luca Altimani è andato oltre tutte le teorie, le ipotesi, le congetture e le presunzioni e ha detto una grande verità: ci sono alcune persone che lasciano perché dove sono non stanno bene, e basta.
Insomma, le persone hanno abbassato, pare, la soglia di sopportazione e la disponibilità a fare dei compromessi.
Non è mancanza di voglia di far fatica, chiariamoci, è più il bisogno di rispettarsi, tipica soprattutto delle nuove generazioni.
Michele Manara spiega sempre che la soddisfazione (o il malessere) di chi lavora si gioca su tre piani:
- il ruolo,
- la funzione o team di inserimento,
- l’azienda.
È un modo semplificato ma efficace per indagare eventuali fattori di malessere:
- hanno a che fare con ciò che una persona è chiamata a fare?
- con i colleghi o con il proprio responsabile?
- o è un malessere legato all’azienda (al contratto, al salario, ai valori, alla gestione interna, all’organizzazione…)?
Per concludere, fai domande prima di intervenire in qualsiasi modo
Quando una persona si dimette dalla tua azienda, perché lo fa?
Il motivo vero intendiamo…
Saperlo è importante e per saperlo è necessario costruire un rapporto di dialogo e di fiducia.
Perché ti stiamo dicendo questo?
Perché non è possibile (e nemmeno desiderabile) un turnover a zero, quello che deve preoccupare però sono le emorragie o le perdite costanti di cui non si conosce la causa.
Pensare a delle azioni di retention senza indagare le cause che portano le persone a dimettersi significa agire al buio. E pensare che questi due anni non abbiamo cambiato il quadro di riferimento è irrealistico.
Inizia ad ascoltare le tue persone, hanno un esagerato bisogno di parlare.