Non vogliamo scrivere l’ennesimo articolo su come sta o è cambiato il mondo del lavoro e i modi di lavorare con lo smart working.
Vogliamo farti una domanda e una provocazione.
La domanda: cosa stai facendo concretamente per aiutare le persone della tua organizzazione a vivere questo momento?
La provocazione invece è questa: lo smart working non è un benefit, non è un privilegio, non è una concessione.
Ora, dobbiamo davvero capirci: se è vero che la flessibilità è ciò che le persone cercano in un (nuovo) lavoro, è pur vero che questa dev’essere frutto di un pensiero strategico che si fonda su un certo tipo di cultura aziendale.
Purtroppo, dal nostro osservatorio non è così.
E questo mette in circolo l’ennesimo corto circuito tra azienda e lavoratore.
Se il lavoro agile si riduce a smart working (e più spesso a home working) e via via diventa una concessione anziché un nuovo modello organizzativo è chiaro che chi lavora lo cercherà come un diritto e lo userà per un proprio tornaconto, al pari di un pezzo del pacchetto retributivo.
E questo a scapito di tutti.
Questa è la premessa, ora vediamo alcuni aspetti collegati allo smart working cercando di non cadere nelle ovvietà.
Smart working, cultura d’impresa e Present Bias
In questo articolo molto interessante del Sole24Ore che parla di futuro del lavoro, abbiamo letto:
“Il Workforce Confidence Index evidenzia il profondo cambiamento dell’approccio degli italiani al lavoro nell’era post-Covid: quasi il 50% dei lavoratori considera la flessibilità la priorità assoluta di questa ripartenza, sia in termini di orario che per quanto riguarda il dove svolgere il proprio lavoro. Al secondo posto, con il 36% delle preferenze (era possibile fornire più di una preferenza) il cosiddetto worklife balance.”
E fino a qui niente di inaspettato, ma poi prosegue:
“Solo al quinto posto la cultura aziendale (26%) e al sesto l’impatto sociale (24%). A sorpresa, solo in coda in termini di priorità, i professionisti italiani (22%) considerano il salario.”
La domanda sorge spontanea: come si può inneggiare alla flessibilità e snobbare la cultura d’impresa se la prima dovrebbe essere frutto della seconda?
Forse non era corretto mettere i due aspetti nella stessa scala di valutazione ma il rating fa comunque emergere un tema importante.
Si chiama Present Bias quello per cui le persone tendono a favorire i risultati immediati, piuttosto che quelli a lungo termine. Se vengono mostrati loro due risultati positivi ottenuti, queste tendono a preferire quello che ha impiegato meno tempo a riscuotere successo.
Insomma, meglio remote working oggi, anche come benefit e a scapito di un po’ di retribuzione, che lavoro agile domani, quel lavoro agile che punta a rivedere l’organizzazione dei processi ed è frutto di un cambio di cultura.
A cosa dobbiamo questa tendenza?
Non vogliamo puntare il dito ma sottolineare che senza lungimiranza tutto quello che abbiamo e stiamo vivendo sarà, per i più, l’ennesima crisi da cui speriamo di uscire vivi.
Smart working e intelligenza emotiva
Nessuna retorica, però la domanda con cui abbiamo iniziato questo articolo muove i suoi passi da qui.
Se non capiamo come stanno le persone, anche quelle che vogliono lavorare da casa, perderemo sicuramente per strada persone preziose.
Il tema è paradossalmente semplice: lavorare in modalità agile non è per niente facile.
Il fatto di preferirlo o di desiderarlo non rende le persone automaticamente in grado di gestire questa nuova forma di lavoro.
Pensare che le persone che optano per lo smart working o per il lavoro da remoto non abbiano bisogno di aiuto, di supporto, di formazione, di ascolto, di empatia… è un grandissimo errore.
L’intelligenza emotiva oggi si rende necessaria non solo per comunicare in modo efficace a distanza ma per considerare le differenti sfaccettature di questa rivoluzione dei modi e dei luoghi del lavoro.
Si parla di on line fatigue: comporta sintomi psicosomatici, assenza di tempo libero, scarsa qualità di vita ed estensione illimitata dell’orario lavorativo quotidiano, oltre a una profonda sensazione di interferenza tra vita privata e vita lavorativa. A rilevarlo una ricerca dell’Università Cattolica di Milano condotta sul personale accademico (ma sappiamo che è rappresentativa di lavoratori di molti altri settori).
Prendersi cura delle persone significa ascoltarle, andare oltre il motto “Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala!”; significa lavorare insieme in un’ottica di sperimentazione, crescita, collaborazione e consapevolezza.
Il tutto sospendendo il giudizio: smettendo di incolpare, giustificarsi, accusare.
La tua azienda come si sta attrezzando in questo senso?
Smart working, fiducia e responsabilità
Siamo nell’epoca della comunicazione valoriale, del marketing emozionale, della resilienza e della compassione e ancora non riusciamo a lavorare in un’ottica di fiducia e responsabilizzazione.
Sul tema fiducia saremo schietti e diretti: le aziende non che non si fidano delle loro persone in realtà non hanno fiducia in sé stesse.
Parlare di smart working e fiducia significa rivolgere lo sguardo dentro e rispondere con onestà ad alcune domande:
- Ho lavorato su una cultura della responsabilizzazione, del feedback, della comunicazione efficace ed empatica?
Se la risposta è no, boh, forse oppure “avevamo iniziato ma poi è arrivato il Covid” abbiamo qualche problema.
Qualche comprensibile difficoltà ad esporci, a fidarci, ad affidarci e a lasciare le persone autonome seppur seguite.
Torniamo a farti quindi la domanda: cosa stai facendo per aiutare le tue persone?
Smart working, relazioni e scelta
Sono cambiate anche le relazioni.
Ovvio e quasi banale.
Il tema è che anche in questo caso, si tratta di cambiamenti non completamente reversibili.
Dal nostro punto di vista ci sono attività che difficilmente torneremo a fare in presenza, molti colloqui ad esempio.
Ci sono professionisti e professioniste che oggi vogliono avere la libertà di decidere chi vedere e chi no, per cosa spostarsi e per cosa collegarsi.
La flessibilità sta portando con sé un po’ più di assertività: la consapevolezza della propria individualità e la possibilità di fare le cose in modo diverso hanno reso le persone più propense a scegliere.
Anche sul piano delle relazioni.
La nostra provocazione su questo punto è la seguente: considerato che i mezzi per gestire le relazioni a distanza ci sono (chiaro, sono da apprendere, allenare e affinare), è possibile pensare che in molti casi la loro mancata o scarsa applicazione sia espressione di una scelta?
È ipotizzabile che in questa situazione, nel lavoro agile o anche solo nel lavoro da remoto, a reggere siano solo le relazioni fondate su un rapporto autentico? E che le persone si stiano permettendo di fare quella selezione che in passato non era loro concessa?
Per le aziende cosa significa?
Per le aziende significa fare i conti con uno dei loro asset intangibili più importanti: il capitale relazionale. Come siamo messi a capitale relazionale?
Soft skills: quali abbiamo sviluppato grazie allo smart working?
Noi crediamo l’acquisizione di soft skill sia un continuo work in progress, in generale, non solo in questo in momento specifico.
Oggi però siamo chiamati ad accelerare i lavori per affrontare una trasformazione radicale.
E no, non citeremo la resilienza anche se molto ci sarebbe da dire su questa bella soft skill.
Sicuramente abbiamo tutti lavorato sulla nostra intelligenza digitale e sul mindset verso il mondo digitale che finalmente è entrato all’interno del perimetro della realtà: virtuale è reale insomma.
Autonomia operativa e auto-organizzazione sono competenze che stiamo acquisendo giorno dopo giorno. Chi in modo strategico, chi per prove ed errori.
Tutti stiamo lavorando sulle nostre competenze comunicative: la scrittura efficace, la comunicazione verbale in video call, l’arte di presentare a distanza… le parole hanno assunto (finalmente) un peso diverso e un ruolo fondamentale.
Senso di responsabilità: lavorare in smart working ha stimolato anche questo, soprattutto in chi ne aveva già una buona dose prima e soprattutto in chi è chiamato a coordinare altre persone.
Insieme al senso di responsabilità la fiducia e la delega, indispensabili per lavorare in modo agile.
Chiudiamo con la lungimiranza, parola a cui teniamo molto perché solo adottando uno sguardo prospettico, una visione d’insieme e puntando l’occhio verso l’orizzonte potremo costruire un nuovo modo e mondo del lavoro.