Quando aziende e professionisti si approcciano allo smart working la prima cosa a cui si pensa è scegliere gli strumenti tra quelli che la tecnologia digitali mette a disposizione: Zoom, Asana, Slack, Teams, Google Meeting… Ormai siamo diventati tutti grandi esperti, perché la situazione di emergenza ha fatto superare il blocco nei confronti della tecnologia anche ai più restii.
Il problema è che lo smart working non è una questione di strumenti, è una questione di persone, fiducia e organizzazione. La tecnologia è importante per far funzionare nel concreto lo smart working, ma diventa quasi accessoria se manca tutto il resto.
Quali aspetti dobbiamo considerare per adottare davvero lo smart working allora?
Una delle difficoltà principali è la mancanza di chiarezza. Non possono esserci dubbi sui ruoli ricoperti, sulle responsabilità personali e di gruppo e sui task specifici. Se lavoriamo a distanza dobbiamo essere sicuri che sia chiaro chi fa cosa, che le scadenze siano certe e che tutti siano allineati sul progetto.
Un aspetto fondamentale poi è la comunicazione. Tutti questi mezzi che abbiamo a disposizione dovrebbero facilitare il passaggio di informazioni a distanza, ma vengono utilizzati nel modo corretto? In qualche modo le informazioni circolano sempre, meglio far sì che queste passino consapevolmente e non per sentito dire. Così tutti in azienda saranno allineati e avranno una reale visione delle cose. Comunicare apertamente e in modo cristallino con i collaboratori anche a distanza contribuisce inoltre a mantenere il contatto umano e a preservare l’umore di tutti.
Il terzo punto da considerare è il coinvolgimento dei collaboratori. Il commitment è importantissimo in azienda, ma diventa fondamentale quando si lavora a distanza. Se le persone si riconoscono nei valori e negli obiettivi dell’azienda e si sentono coinvolte nel progetto, lavorare bene insieme anche se lontani sarà molto più semplice.
Tutto questo si raggiunge però con un cambiamento di mentalità soprattutto nei gradini più alti dell’azienda.
Partiamo da questo presupposto: se una persona fa parte della nostra organizzazione significa che riponiamo fiducia in lei e nelle sue capacità. Se abbiamo paura che a distanza possa trascurare le sue mansioni, il problema non deriva dallo smart working. Se la fiducia è reale, non esiste necessità di controllare che i nostri collaboratori siano seduti alla scrivania per sapere che stanno lavorando.
La necessità è però anche quella di entrare nell’ottica di non lavorare per ore, ma per obiettivi. Lo smart working dovrebbe essere flessibile e intelligente, la casa non è una succursale dell’ufficio in cui bisogna rispettare l’orario al minuto. Qualcuno potrebbe preferire lavorare la sera tardi per esempio o la mattina molto presto: l’importante è fissare dei meeting durante il giorno in cui confrontarsi. Se gli obiettivi vengono raggiunti, è davvero importante che sia stato fatto tra le 8 e le 17?
Lo smart working è un’opportunità per le aziende ben oltre l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, provare a farlo diventare parte normale del flusso di lavoro potrebbe portare grandi benefici a lungo termine.